Prima degli smartphone, prima dei messaggi vocali, prima persino dei cordless, c’era un oggetto metallico che ti apriva un mondo: il gettone telefonico. Un piccolo disco di rame, a tre scanalature, che dava accesso al bene più prezioso degli anni ’80: la voce di qualcuno dall’altra parte del filo.
Era un’epoca in cui comunicare non era mai un gesto impulsivo. Ogni chiamata aveva un peso, ogni parola doveva valere il costo del tempo. Si cercava la cabina più vicina, si faceva la fila, si controllava l’orologio. E soprattutto, si portavano sempre con sé quei gettoni, come fossero amuleti. Questo articolo è un viaggio dentro un oggetto apparentemente semplice, che in realtà racconta la vita di un’Italia intera.
Cosa erano i gettoni telefonici e perché erano così diffusi
I gettoni telefonici nacquero molto prima degli anni ’80, ma fu proprio in quel decennio che raggiunsero il loro massimo splendore e diffusione. Realizzati in lega metallica, con tre scanalature incise e la sigla “TELEFONO” su un lato, erano emessi dalla SIP (poi Telecom Italia) per essere usati nelle cabine telefoniche pubbliche.
Ogni gettone rappresentava una unità temporale di conversazione, chiamata “scatto”. Il valore di uno scatto cambiava negli anni, così come la durata: poteva variare da 45 a 120 secondi, a seconda dell’orario e della distanza. Questo rendeva ogni telefonata un piccolo calcolo mentale: quanti gettoni portarsi dietro? Quanti scatti servivano per dire tutto?
I gettoni si acquistavano in tabaccheria, ai distributori automatici, a volte addirittura nei bar. Non avevano valore legale come moneta, ma in certe situazioni valevano più delle lire.
Le cabine telefoniche: piccole camere di vita pubblica
Le cabine erano sparse ovunque: nelle piazze, davanti ai bar, nei pressi delle stazioni, vicino ai supermercati. Quelle più moderne erano grigie e squadrate, con porte scorrevoli trasparenti. All’interno, uno spazio angusto con una cornetta, una pulsantiera, e un vano dove inserire i gettoni. Spesso c’era anche il taccuino penzolante, pieno di numeri scarabocchiati.
Ma le cabine erano molto più di semplici strumenti: erano scenari urbani di emozioni forti. Si litigava, si dichiarava amore, si chiamava la nonna, si dava un colpo di telefono al padre prima di rientrare a casa. Spesso si piangeva. E altre volte si stava lì in attesa, stringendo un gettone sudato, sperando che qualcuno rispondesse.
Era l’unico posto dove si era davvero soli ma anche in contatto con il mondo. Chi ha vissuto quegli anni sa bene quanto una cabina potesse significare.
Quando finivano i gettoni: la fine di una chiamata non sempre voluta
Finire i gettoni nel bel mezzo di una telefonata era una tragedia quotidiana. Non si poteva semplicemente “richiamare più tardi”. A volte non si aveva abbastanza tempo per spiegare, per chiedere scusa, per dire “ti voglio bene”.
C’erano tecniche da esperti: parlare più veloce, saltare i convenevoli, prepararsi il discorso a mente prima di iniziare. Chi era fortunato trovava una cabina “generosa” che restituiva qualche scatto in più. Ma nella maggior parte dei casi, quando sentivi il click della linea interrotta, significava solo una cosa: non hai fatto in tempo.
Ecco perché ogni parola contava, ogni frase era scelta con cura. Parlare era un atto consapevole, non un impulso.
Gettoni come valuta parallela (e oggetto del desiderio)
Oltre all’uso telefonico, i gettoni negli anni ’80 erano diventati una valuta parallela. Alcuni distributori di sigarette o bibite li accettavano, e c’erano persino bar che li prendevano come resto. In pratica, i gettoni avevano acquisito un valore più stabile della lira, e spesso si barattavano come merce.
Nei quartieri popolari, si diceva “dammi due gettoni” anziché “dammi mille lire”. C’era persino chi li conservava “per le emergenze”, in un cassetto o nel portamonete, accanto al documento e al rosario.
Per molti bambini, collezionare gettoni era un gioco serio. Esistevano vari modelli: i più antichi riportavano date diverse, piccole differenze di incisione, colori leggermente variati. Ogni gettone era un pezzo unico di metallo e di storia.
La scomparsa silenziosa: schede telefoniche, cellulari e fine di un’era
Verso la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, iniziarono a diffondersi le schede telefoniche prepagate, più comode, più tecnologiche. Il gettone cominciò lentamente a scomparire. Le cabine cambiarono volto, alcune eliminarono proprio la fessura per il gettone. Le nuove generazioni iniziarono a usarle sempre meno.
Poi arrivarono i cellulari, e con essi la rivoluzione definitiva. La comunicazione divenne ubiqua, istantanea, gratuita (in apparenza). Ma con essa, perdemmo il valore del tempo, dell’attesa, della selezione. Perdemmo il silenzio tra una parola e l’altra.
I gettoni furono ritirati ufficialmente nel 2001. Ma già da tempo erano scomparsi dalla vita reale, diventando oggetti da fondo di cassetto, da collezione, da nostalgia pura.
Oggi il gettone è un oggetto vintage ricercatissimo
Oggi i gettoni telefonici originali sono tra gli oggetti vintage più richiesti e venduti nei mercatini, su eBay, nei gruppi Facebook dedicati al collezionismo. I modelli più rari, con date specifiche (come 7905 o 7803), possono valere anche diverse decine di euro.
Ma al di là del valore economico, il gettone ha un valore emotivo fortissimo. Tenerne uno in mano significa sentire di nuovo quella sensazione di attesa, quella voce lontana che si avvicina, quella necessità di fare in fretta ma dire tutto.
Chi ne possiede uno spesso non lo vende. Lo tiene come talismano, come oggetto transgenerazionale da mostrare ai figli, per spiegare com’era comunicare prima del “fammi uno squillo”.
Perché oggi parlare dei gettoni ha ancora senso
Nel tempo del “ti lascio un vocale”, tornare a parlare di gettoni è un atto culturale e pedagogico. È un modo per ricordare che comunicare non è solo trasmettere suoni, ma anche scegliere il momento giusto, il tono, il luogo. I gettoni ci hanno insegnato a pensare prima di parlare. A dare peso alla conversazione. A non dare nulla per scontato.
Forse dovremmo insegnarlo anche alle nuove generazioni: non per nostalgia, ma per consapevolezza. Per far capire che non tutto ciò che è veloce è migliore. A volte, una parola detta al momento giusto, in una cabina silenziosa, vale più di mille messaggi inviati senza guardarsi negli occhi.
Se il gettone è parte del tuo passato, amerai questo libro
Se hai mai aspettato il tuo turno in cabina, se hai stretto un gettone nella mano sperando che bastasse per dire tutto, allora amerai il libro “Quando il mondo era senza Wi-Fi”. È un racconto pieno di oggetti come questo, ma soprattutto pieno di emozioni vere. Quelle che non si scaricano.