Prima che arrivassero Netflix e YouTube, c’era un solo momento davvero sacro: quello del pomeriggio davanti alla televisione.
Lì, tra uno zaino Invicta lanciato in un angolo e una merenda con pane e Nutella, andava in onda il nostro mondo. Un mondo fatto di sigle urlate, battaglie spaziali, principesse coraggiose e robot giganti.
I cartoni animati degli anni ’80 non erano solo intrattenimento: erano formazione sentimentale, mitologia popolare, scuola di emozioni.
Il mio rituale cominciava addirittura la mattina prima di andare a scuola quando guardavo Uffi l’extraterrestre su Telecapri.
La televisione ci educava senza volerlo. Ogni pomeriggio si apriva un varco verso mondi immaginari ma emotivamente reali.
Ci si sedeva insieme, fratelli, sorelle, cugini. Chi arrivava prima occupava il posto migliore, e guai a cambiare canale durante le sigle.
Goldrake, Mazinga e gli altri: l’epica spaziale in salsa giapponese
I robottoni giapponesi hanno letteralmente conquistato la generazione cresciuta negli anni ’80. Goldrake, Mazinga Z, Daitarn 3, Jeeg Robot d’Acciaio, Megaloman: non erano semplici eroi, erano semidei che difendevano la Terra da minacce aliene a colpi di raggi protonici e pugni rotanti.
C’era un’estetica precisa: il cielo era sempre rosso, il male arrivava dal cosmo, il protagonista era un ragazzo tormentato, spesso orfano.
Lottava non solo contro i nemici, ma contro il proprio passato. In Goldrake, Actarus viveva nascosto in una fattoria dopo aver visto il suo pianeta distrutto.
Un eroe in esilio che si batteva per un’umanità che non era la sua.
Dietro quei disegni colorati si nascondevano archetipi potenti: il sacrificio, la vendetta, l’onore, la solitudine. Valori che restavano dentro anche a TV spenta.
Candy Candy, Remi, Lady Oscar e la lezione del cuore
Mentre i maschi sognavano battaglie galattiche, le bambine (e anche molti bambini) seguivano le vicende di Candy Candy, Lady Oscar, Remi, Georgie e Anna dai capelli rossi.
Questi cartoni animati non erano “roba da femmine”. Erano drammi a puntate, romanzi visivi, storie profonde che parlavano di orfani, rivoluzioni, amore non corrisposto, amicizia, tradimento.
Lady Oscar, in particolare, è diventata un simbolo generazionale: guerriera in uniforme e anima tormentata, visse in un tempo che non le apparteneva.
Figlia del dovere, innamorata impossibile. La sua fine tragica — in piena Rivoluzione Francese — resta una delle scene più commoventi mai viste in un cartone animato.
Remi un ragazzo che faceva l’artista di strada ma in realtà di nobili origini cresciuto da patron Vitali con un cane ed una scimmietta simpaticissima.
E Candy? Con la sua dolcezza e il suo coraggio, è diventata il paradigma della resilienza. Più che una protagonista, era un esempio.
Holly e Benji, Mila e Shiro: lo sport come romanzo
Lo sport nei cartoni degli anni ’80 non era simulazione. Era epopea, metafora, formazione. Holly e Benji ci hanno insegnato il senso della squadra, la perseveranza, l’arte di rialzarsi dopo un fallimento.
In campo si vinceva con l’impegno, la solidarietà, l’allenamento durissimo. E con i “tiri speciali”, certo, che infrangevano le leggi della fisica.
Mila e Shiro non erano solo due ragazzi innamorati. La pallavolo era il loro linguaggio per comunicare le emozioni, la fatica, la competizione.
Anche se l’anime era rivolto alle ragazze, tantissimi bambini lo guardavano senza vergogna. Perché i cartoni anni ’80 non dividevano per genere, ma univano sotto il segno dell’emozione.
Lupin, Lamu, Ken il Guerriero: anticonformismo, eros e apocalisse
Ci hanno fatto sorridere, ci hanno turbato, ci hanno fatto porre domande. Lupin III, ladro geniale e seduttore ironico, era il Robin Hood della nostra infanzia.
Il suo inseguimento perenne con l’ispettore Zenigata era una danza. Fujiko detta anche Margot, sensuale e inafferrabile, fu la prima “femme fatale” vista in cartone.
Poi c’era Lamu: marziana, gelosa, luminosa. Una vera icona dell’erotismo pop, con il suo bikini tigrato e la sua gelosia esplosiva. E dietro l’umorismo demenziale si nascondevano riflessioni sulla diversità e sull’amore.
E poi Ken il Guerriero. Uno dei cartoni più violenti mai trasmessi in fascia pomeridiana. Ma dietro i muscoli e le esplosioni c’era una profonda malinconia.
Ken era un cavaliere in un mondo devastato, che combatteva per gli innocenti. Le sue lacrime, rare ma autentiche, ci hanno insegnato che anche i forti possono essere fragili.
I cartoni meno famosi ma impossibili da dimenticare
Accanto ai titoli più noti, gli anni ’80 ci hanno regalato una miriade di perle minori, che oggi vivono nel cuore dei veri nostalgici:
- Il Tulipano Nero, ambientato nella Rivoluzione Francese, con protagonista una donna mascherata
- Yattaman, geniale mix di slapstick, invenzioni e personaggi bizzarri
- Sampei, dedicato alla pesca ma capace di insegnare la pazienza e la concentrazione
- L’Isola del Tesoro, una delle migliori trasposizioni animate del romanzo di Stevenson
Questi cartoni magari non avevano sigle famosissime o merchandising diffuso, ma avevano anima, e per questo sono ancora ricordati.
Le sigle: un patrimonio culturale a sé
Impossibile parlare di cartoni anni ’80 senza citare le sigle, vere hit da classifica. Cristina D’Avena, I Cavalieri del Re, i Superobots, Rocking Horse… ogni gruppo aveva il suo stile. Alcune sigle erano così amate da finire nei juke-box o registrate su musicassette con il mangianastri.
Erano canzoni che si ballavano, si cantavano in coro, si imparavano a memoria. Avevano potere evocativo, energia, riconoscibilità. E oggi, nelle serate anni ’80, sono il momento più atteso.
La sigla di Daitarn 3 era la mia preferita ed ha un giro di basso incredibile.
Quando i cartoni erano rituale collettivo
Guardare un cartone non era un’esperienza individuale. Era una cerimonia condivisa. Si aspettavano le 16:00 per Bim Bum Bam, si correva a casa per non perdere l’inizio.
I cartoni creavano un linguaggio comune, battute ricorrenti, riferimenti culturali che tutti capivano.
Oggi, con lo streaming e le piattaforme, tutto è disponibile sempre. Ma proprio per questo niente è davvero atteso, desiderato, condiviso.
I cartoni anni ’80 ci hanno insegnato a pazientare, ad ascoltare insieme, a emozionarci in gruppo.
La lezione dei cartoni anni ’80
Oltre all’intrattenimento, questi cartoni ci hanno lasciato un’eredità morale. Ci hanno insegnato:
- Che il bene va difeso anche quando è difficile
- Che l’amore può essere doloroso ma autentico
- Che la diversità è una ricchezza, non un problema
- Che non c’è forza senza empatia
Forse è per questo che oggi li cerchiamo ancora, li mostriamo ai figli, li riguardiamo su YouTube o in DVD. Perché in un mondo iperconnesso, quei racconti ci ricordano chi eravamo quando tutto era più lento ma più sentito.
Se quei cartoni ti hanno lasciato un segno, c’è un libro che ti piacerà
Hai amato Goldrake, Candy Candy, Lupin e Ken il guerriero? Allora potresti ritrovare le stesse emozioni nel mio libro “Quando il mondo era senza Wi-Fi”.
Non è solo un ricordo, è un viaggio sincero in un’epoca in cui le connessioni più importanti erano quelle umane.