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Paninari il fenomeno anni ottanta

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Negli anni ’80 i paninari hanno dominato lo stile giovanile italiano. Dalla piazza al Drive In, dai Ray-Ban agli zaini Invicta, ecco chi erano e perché hanno lasciato il segno.
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Negli anni ’80, in un’Italia in piena trasformazione economica e culturale, emerse una tribù urbana inconfondibile, colorata e sfacciata: i paninari. Erano giovani, rumorosi, vestiti con marchi americani, amanti del fast food e delle moto. Per alcuni erano l’esaltazione del consumismo, per altri la risposta scanzonata a un’epoca ideologica e grigia. Ma una cosa è certa: i paninari hanno lasciato un segno profondo nell’immaginario collettivo, al punto da diventare una parola ancora viva nella memoria di chi quegli anni li ha vissuti davvero.

Chi erano i paninari: un fenomeno tutto italiano

Il termine “paninaro” nasce nella Milano dei primi anni ’80, inizialmente come soprannome con sfumatura ironica. I primi ragazzi che ricevettero questa etichetta erano frequentatori assidui del bar “Al Panino” in piazza Liberty, vicino al cinema Excelsior. Erano giovani, benestanti, amanti delle marche e delle novità americane, orgogliosi del proprio look curato e del proprio disinteresse verso la politica militante.

Non erano legati a movimenti ideologici. Al contrario, il paninaro era apolitico, individualista, consumista e ironico. Si esprimeva con una lingua tutta sua, fatta di slang pseudo-anglofono (“figo”, “squinzia”, “toffa”) e con uno stile visivo che gridava status e appartenenza.

Perché si chiamavano “paninari”

Il nome deriva dalla loro abitudine di ritrovarsi, appunto, nei bar che servivano panini, come alternativa ai locali politici o ai centri sociali frequentati da altre sottoculture giovanili. In particolare, “Al Panino” divenne il punto di ritrovo milanese simbolo del movimento. Da lì, il termine si diffuse con rapidità anche a Roma, Torino, Napoli, diventando presto fenomeno nazionale.

In breve tempo, il termine “paninaro” passò da etichetta locale a definizione culturale: una sottocultura nata per essere notata, che rifiutava le ideologie in favore dell’apparenza, dello stile, del tempo libero, dei motorini e dei jeans slavati.

Come si vestivano i paninari: guida al look dalla testa ai piedi

Lo stile paninaro era riconoscibile a metri di distanza. Ogni elemento dell’abbigliamento era pensato per dichiarare uno status, un’appartenenza, un’identità precisa.

Giacche

  • Bomber Schott MA-1 in nylon verde o blu, con l’interno arancione
  • Moncler con piumino trapuntato e logo visibile
  • Best Company, firmato Olmes Carretti, con ricami e colori sgargianti
  • Americanino per i più radicali, spesso usato nelle versioni più pesanti

Maglie e felpe

  • C.P. Company e Stone Island, per i più ricercati
  • Levi’s e Wrangler per camicie e giubbotti
  • Felpe Adidas con le tre strisce, rigorosamente abbinate al colore delle scarpe

Pantaloni

  • Jeans Levi’s 501, scoloriti, arrotolati alla caviglia
  • Roy Rogers o Uniform, in versione slim ma con vita alta
  • Pantaloni da tuta Fila o Ellesse, nei weekend sportivi

Scarpe

  • Timberland color miele, spesso indossati anche d’estate
  • Timberland boat shoes nei mesi caldi
  • Nike Air Force o All Court per i più sportivi

Accessori

  • Ray-Ban Aviator o Wayfarer
  • Zaino Invicta a righe, modello “Jolly” o “Mini Trekking”
  • Swatch al polso: un must (spesso anche due, uno per braccio)
  • Portachiavi colorato “Cimabue” o della Juventus appeso al jeans

Ogni capo era scelto per essere riconoscibile, non solo per la qualità, ma per il marchio in vista. Il logo era un linguaggio. L’estetica paninara era un manifesto sociale.

Musica, Drive In e cultura pop: l’influenza sulla massa

La popolarità dei paninari esplose anche grazie alla televisione. Il programma comico “Drive In”, in onda su Italia 1 a partire dal 1983, ne fece una parodia entrata nella storia. Il personaggio interpretato da Enzo Braschi, con Ray-Ban e piumino, fu la caricatura perfetta del paninaro medio: superficiale, modaiolo, disimpegnato.

Le sue frasi tipo – “Bella lì, topa!” o “Trendy! Figo!” – entrarono nel linguaggio comune. I paninari passarono da fenomeno giovanile urbano a fenomeno di costume nazionale, con apparizioni in riviste, musica, fumetti e persino giocattoli.

Nacquero anche pubblicazioni dedicate, come il celebre “Il Paninaro”, una rivista a fumetti che alternava ironia e lifestyle, contribuendo a diffondere il linguaggio e l’immaginario del movimento.

La musica paninara: dagli Squallor ai Pet Shop Boys

Il sound dei paninari era un mix tra italodisco, pop internazionale e dance elettronica. Le cassette giravano nei motorini, negli stereo da spiaggia e nei walkman. Alcuni artisti chiave:

  • Pet Shop Boys, con la loro celebre canzone Paninaro del 1986
  • Spandau Ballet, Duran Duran, Talk Talk
  • In Italia, gli Squallor e Sandy Marton facevano parte della colonna sonora

La musica era parte dell’identità paninara: da ballare, da mostrare, da ascoltare in gruppo. Ogni canzone era un’estensione dello stile.

Il legame con il gruppo “Skins” interista: la vera origine

Uno degli aspetti meno noti ma più affascinanti del fenomeno riguarda le origini “calcistiche” del primo nucleo paninaro milanese. Il gruppo “Skins”, legato alla curva interista, fu tra i primi ad adottare uno stile “americano” e a ritrovarsi nei bar di piazza Liberty. Non erano ultras violenti, ma fanatici dello stile, della musica e dell’atteggiamento da “figo”.

Dallo stile preppy inglese adottarono alcuni elementi, come le Timberland, le giacche imbottite, l’uso di sigle e simboli identificativi. Da lì, l’estetica paninara si evolse in chiave più commerciale e mediatica. Ma le radici calcistiche e metropolitane rimasero ben visibili.

Il declino dei paninari: fine o metamorfosi?

Con l’arrivo degli anni ’90, il mondo stava cambiando. Le mode diventavano più globali, la politica tornava nei discorsi giovanili, il grunge scalzava le Timberland. I paninari cominciarono a sbiadire, inghiottiti da una nuova epoca.

Ma non sparirono. Lo stile paninaro sopravvisse in una forma più diluita: nei capi outdoor, nei jeans slavati, nella cultura sneaker. E il loro impatto si vede ancora oggi nei ritorni vintage, negli zaini Invicta rilanciati, nei profili social nostalgici.

Chi è stato paninaro non lo ha mai dimenticato.

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Se le tue giornate iniziavano con un bomber Schott e finivano con un panino in piazza, se nel tuo zaino c’era un Walkman e una felpa Best Company, se le Timberland erano il tuo simbolo… allora conosci bene quell’epoca.

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